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Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
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    • A tempo perso

      Posted at 17:33 by fedepis, on luglio 11, 2020

      Io e il tempo! Ci penso spesso a noi due, a me e al tempo intendo. Ad una certa età, con una malattia un po’ degenerativa, viene spontaneo pensarci, così, a tempo perso. Penso al mio di tempo, se la mattina dopo mi sveglierò inseguendolo o con lui che mi insegue. Se andremo all’unisono rispettando le distanze per non mischiarci troppo. Se sarà una staffetta o un tranquillo giro di campo.

      Penso a quando l’ho odiato e poi è sparito lasciando errori e nessuna gomma da cancellare. A come gira e balla sui miei nervi, come mi butta addosso l’istinto di fare velocemente qualcosa o di farlo lentamente, di lasciarlo scorrere come se io potessi scorrere su di lui. Penso alle sue illusioni.

      Penso a tutte le volte nelle quali ha ricominciato a muoversi e io ero sempre diversa perché lui si mette sempre qualcosa in tasca e qualcosa la lascia. Penso che mi posiziona di fronte sempre più malattia ma che magari un giorno lui se la porterà via per sempre e non proverà a restituirmela.

      Penso che si è innamorato dei miei bellissimi sogni e siccome l’amore è amore, ha pensato di tenerseli per sé scambiandoli con la GNE, senza lasciarmeli guardare bene per l’ultima volta, senza darmi il tempo per qualche compromesso. «Eh ragazza, i colpi di fulmine non si prevedono», mi ha detto soddisfatto.

      Forse non me lo meritavo, forse neanche me li meritavo, e non lo sapevo. Ne ho fatte collane dei miei sogni così lunghe da inciamparci quando non lo faceva la malattia. Intorno al collo avrei potuto guardarli e sentirli comunque.

      Poi un pomeriggio, tra un chiosco e un cane che pisciava, mi ha urlato che sono una stupida rompi palle, che non capisco niente, che il merito non c’entra, che mi merito quello che voglio e pure le collane sulle quali inciampare perché magari capisco che è il momento di toglierle e farci quello che si fa con i sogni. Che io me li meritavo i miei sogni ma doveva prendersene cura mentre io mi prendevo cura di me, così che potessi imparare il cambio di prospettiva e i miei occhi.

      «Te li restituisco i tuoi sogni bellissimi e capaci, stronza malapensante!»

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag disabilità, tempo
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      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

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