Balliamo con poche pretese dentro un quadrato. Muovendoci sul posto con la mia testa sulla tua piccola giovane spalla destra e la tua testa sulla mia indecente giovane spalla destra, senza dirci niente di nuovo o di meglio che non sia il silenzio.
Balliamo tra quattro angoli uguali mentre fuori terremoti, eruzioni, annegamenti e guerre, fanno crepare il nostro punto di appoggio e parliamo per non perdere il contatto, il controllo, gli occhi, per lasciar fuori la paura.
Balliamo e chiami il futuro al mio orecchio e io sussurro sì al tuo orecchio, sul tuo collo, sul tuo petto. E ripetiamo sì sui nostri corpi, dentro quattro angoli uguali, fino a poterne calcolare il perimetro e l’area.
Balliamo e i lati del quadrato diventano fottute lastre di cristallo che si romperanno frantumate dalle mie e tue urla. E ci feriranno lasciandoci cicatrici luccicanti al sapore di zenzero e limone.
Balliamo, i piedi doloranti, con le braccia lungo il busto e le mani intrecciate alla fine di tutto, con le mie labbra sulle tue e le tue sulle mie per aiutarci tra un respiro e l’altro dentro un quadrato diventato rombo al ritmo di cadute, rivincite e armoniche