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Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
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      Posted at 12:31 by fedepis, on agosto 8, 2019

      Balliamo con poche pretese dentro un quadrato. Muovendoci sul posto con la mia testa sulla tua piccola giovane spalla destra e la tua testa sulla mia indecente giovane spalla destra, senza dirci niente di nuovo o di meglio che non sia il silenzio.

      Balliamo tra quattro angoli uguali mentre fuori terremoti, eruzioni, annegamenti e guerre, fanno crepare il nostro punto di appoggio e parliamo per non perdere il contatto, il controllo, gli occhi, per lasciar fuori la paura.

      Balliamo e chiami il futuro al mio orecchio e io sussurro sì al tuo orecchio, sul tuo collo, sul tuo petto. E ripetiamo sì sui nostri corpi, dentro quattro angoli uguali, fino a poterne calcolare il perimetro e l’area.

      Balliamo e i lati del quadrato diventano fottute lastre di cristallo che si romperanno frantumate dalle mie e tue urla. E ci feriranno lasciandoci cicatrici luccicanti al sapore di zenzero e limone.

      Balliamo, i piedi doloranti, con le braccia lungo il busto e le mani intrecciate alla fine di tutto, con le mie labbra sulle tue e le tue sulle mie per aiutarci tra un respiro e l’altro dentro un quadrato diventato rombo al ritmo di cadute, rivincite e armoniche

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, lettere, lgbt, queer, scrittori emergenti
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      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

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