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Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
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    • Scontri di Definizioni

      Posted at 14:32 by fedepis, on gennaio 18, 2019

      Passo dal desiderio di volermi definire all’avere il terrore verso ogni tipo di definizione. Probabilmente perché il mondo è un po’ bastardo e definirsi significa andare incontro a scontri di definizioni.

      Io ad un certo punto mi sono ritrovata con una definizione addosso come l’estate di Jovanotti. Una definizione che si materializza con il postino che suona al citofono portandoti il certificato di invalidità. Tutto quello che è successo prima dell’arrivo del postino sconvolge ma non definisce. Tutto quello che è successo prima si concretizza con l’INPS.

      Io ad un certo punto sono diventata una portatrice di handicap, handicappata, una disabile, una persona disabile oppure con disabilità, una invalida al 60%, 80%,100%. Tendenzialmente non mi indigno se vengo definita soltanto “disabile” . Non mi sento sminuita, ovviamente a meno che non mi rendessi conto di un filo di disprezzo nel tono di chi mi definisce semplicemente disabile. Il fatto che io non mi indigni in ogni circostanza mi fa sentire un po’ in colpa verso chi invece si indigna.

      Io mi indigno di più, mi incazzo proprio quando con quel “persona con disabilità” intendono un essere umano chiuso in casa, senza vita sociale, affettiva e sessuale, che passa il tempo a compiangersi.

      Sono questi per me gli scontri di definizioni. Chi se ne frega se “persona” non precede “disabile”? Se poi si infilano all’interno di una parola una serie infinita di variabili, di 2+2, di ragionamenti illogici, ignoranti, è peggio questo. È peggio lo stupore sul viso di chi scopre che sono laureata, che scrivo, viaggio, non mi annoio, ho una vita sentimentale con tutto quello che ne consegue, pure le rotture di scatole. È peggio sentirsi dire, da una coppia di sconosciuti, durante una passeggiata, che la persona che è con me appena si innamorerà non avrà più tempo per “portarmi fuori” e sono stata zitta, ho avuto paura di dire “veramente è la mia ragazza, quindi se si innamora di qualcuno sono io che non la porto più fuori”, avrebbe significato vedere uno stupore alla decima potenza.

      A volte credo che ci arrovelliamo nell’appiopparci delle definizioni per sapere cosa rispondere agli altri.

      Perciò preferisco essere considerata Federica la disabile che fa cose, anche a caso a volte, ma cose.

      Inviato su GNE GNE GNE! | 0 commenti | Tag disabiità, disablity, lgbt
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      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

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