CorpInclusi

Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
CorpInclusi
  • Informazioni
  • Contatti
  • Tag: ansia

    • Muscoli e ossa

      Posted at 11:36 by fedepis, on aprile 29, 2020

      C’era una sedia vicino al muro, era sempre stata lì e quella sera decisi di sedermi per rimanere in penombra. Quando mi rialzai una parte di me rimase seduta a fissarmi con i nostri grandi occhi. Così scoprii che faccia avessi quando mi sembrava di essere su un precipizio senza poter indietreggiare né buttarmi. Quando volevo scappare ma le mie gambe erano inermi. Potevo vedermi respirare come se qualcuno mi comprimesse il petto. Mi ero scissa finalmente, finalmente non sentivo più nulla di quello che Lei provava. Mi inginocchiai e sorridendo le parlai «Io non voglio essere te. Non posso più permettermelo, capisci?»

      Mi alzai e andai a farmi una doccia. L’acqua scendeva giù come se io stessa fossi una cascata, come se fossi la cascata e una ragazza stupida che si butta da una roccia per vedere quanto male faccia l’impatto devastante con l’acqua. Misi del bagnoschiuma sulla spugna e mi insaponai delicatamente, poi lavai anche i miei capelli, dopo lo shampoo passai del balsamo. Girandomi vidi che l’altra me era lì, nel bagno, con gli occhi velati di lacrime e nuda, il suo corpo era il mio ma non come il mio, eppure lo era stato. Sembravamo così stanche. Lei però lo sembrava più di me. «Lo faccio per noi, lo faccio per entrambe.» Le dissi mentre mi sciacquavo un’ultima vota. Mi fissava senza dire niente e io la afferrai dalle braccia, la tirai verso di me, e come se stessimo ballando, io uscii dalla doccia e feci entrare lei lasciandola sotto il getto d’acqua. Indossai l’accappatoio, tirai su il cappuccio. «Mi parlerai mai?» Le chiesi, alzò la testa senza guardarmi, fissava le mattonelle bagnate

      «Se ne dovessi vedere l’utilità» Mi rispose

      «Conoscendoti…»

      «Già! La troverò»

      Mi misi a ridere «Dio come sei divertente. Lo penso davvero, ci divertiremo un sacco io e te»

      Sbuffò e parlò nuovamente «Prendi in giro te stessa, non dimenticarlo»

      «Sei pesante. Prendo in giro te, non me stessa, io non sono più quello che sei tu» Dissi afferrando il pettine nero che era sul lavandino. Solo in quel momento si girò a guardarmi, prese il bagnoschiuma, se lo buttò addosso, prese la spugna e cominciò a sfregarsi così forte che la pelle divenne rossa «Ne sei proprio sicura?»

      Risi nuovamente «Ti manca la spavalderia per dire certe frasi. E quella me la sono presa io, sarebbe stato uno spreco lasciartela, veniva schiacciata dalla tua paura»

      «Nostra!»

      «Tua, tua, tua… basta! Sta’ zitta» Le urlai, puntandole addosso il manico del pettine particolarmente appuntito.

      Uscì dalla doccia mi afferrò la mano che teneva il pettine e si piantò il pettine nel petto. Io non provai dolore ma la sua faccia si contrasse in una smorfia, poi sentii qualcosa colare sul mio petto, lasciai il pettine girandomi verso lo specchio. Spostai l’accappatoio e vidi il sangue colare. Lei si tolse il pettine dal petto e mi parlò «Vedi? Anche se non faccio più parte di te, anche se mi hai allontanato perché ti sembro un peso troppo grande, un dolore troppo grande… anche se il tempo ti sembra scorrere meglio senza di me, anche se credi che cancellando le parti più fragili di te salverai le più forti. Anche se adesso il futuro ti sembra afferrabile e anche l’amore più semplice da gestire senza di me, sarebbe stato il caso di trovare un equilibrio fra le nostre fragilità, fra i nostri dolori e paure perché, vedi? Rimani comunque tu quella che sanguina e io quella che sente la ferita»

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Te l'ho mai raccontato? | 0 commenti | Tag ansia, paura
    • Lettera alla mia ansia

      Posted at 11:48 by fedepis, on aprile 27, 2019

      Ho fatto i conti, ci conosciamo da 12 anni. Mi hai presa e trascinata con te in un vicolo che non avevo visto. Non conoscevo il tuo nome e cognome, la tua età. Soltanto dopo mesi riuscii a distinguere i lineamenti del tuo volto. Anche se passavi con me i giorni e le notti, anche se dividevamo i pasti e il letto come due amanti e avrei potuto trovarti ovunque; anche se i tuoi posti preferiti sono sempre stati sopra il mio petto e sotto la mia pelle, io non riuscivo a riconoscerti. Adesso invece, ti riconosco persino nel viso degli altri come me. È una questione di sguardo, di respiro, di postura, di paura.

      Non ti annoi a fare il tuo dovere togliendo l’aria, nascondendoti dietro il frigorifero della mia cucina, uscendo di colpo, facendo «BU!». Come se tu fossi una Trilli-cattiva spolveri sulla mia testa polvere nera che infonde paura di volare, di camminare, di mangiare, di impazzire tra i miei pensieri che sembrano gli uccelli di Hitchcock. Paura di ridere, di essere felice, di stare male e poi morire dentro, davanti a tutti. Per un po’ ho avuto paura che tutti potessero accorgersene e chiedermi il perché del tuo esistere. Non è facile spiegarlo se neanche io riesco a capire, non lo è se chi ti ascolta pensa che basterebbe non pensarti per farti sparire dentro una folata di vento. Così, pur odiandoti, non accettavo che gli altri non ti comprendessero o ti sottovalutassero, e mi lasciavi strappata tra la voglia di gridare e quella di nascondermi. Tanto valeva rimanere a casa.

      Arrivi su un carro che non ha bisogno nè di cavalli nè di cocchiere perché la vita si muove da sé. E ti sento arrivare e rimanere, approfittando della mia totale impossibilità di scappare e di non pesare e di non pensare. Sono definitivamente sporca, ti sei fusa con le mie debolezze. Il mio coraggio adesso ha più controllo ma ci sta così tanto a riacciuffarti che poi ha bisogno di riposare.

      Non è una lettera d’amore, non ti amerò mai, mi rovini i momenti migliori e peggiori i momenti peggiori. Mi fai perdere il poco controllo che ho del mio corpo. E ci ho messo anni ad avere del potere su di te, ad imparare a sopportarti, ad essere funzionale alla mia vita anche con te accanto. Sei causa di rabbia, lacrime e ti ho concesso di farmi fallire ma hai un solo pregio anzi due: sei un buon campanello d’allarme e un buon rimedio a tutti i coglioni del mondo.

      Inviato su Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, ansia, lettere
    • Ricerca

    • Ritrovarsi allo specchio e fare pace
      È la più grande forma d’arte
      Come aver fiducia delle persone adulte
      Ora che ne sono parte

      “Zibba e Nicolò Fabi – Farsi Male”

    • Categorie

      • GNE GNE GNE! (12)
      • LETTERE A CORPI INCLUSI (14)
      • Recensioni a caso (2)
      • Senza categoria (42)
      • Te l'ho mai raccontato? (8)
    • L’arte di essere nessuno

      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

Blog su WordPress.com.

Annulla

 
Caricamento commenti...
Commento
    ×