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Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
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    • Pensieri sul corpo

      Posted at 12:58 by fedepis, on aprile 6, 2020

      Ho sentito la chiave girare nella serratura della porta, avevo lasciato loro le chiavi perché sono masochista e adesso i miei pensieri si sono chiusi dentro casa, come tutti noi. Dispersi sul mio corpo che è tutto ciò di cui hanno bisogno.

      Giocano su un’altalena che è qui nel mio stomaco e si sfidano a lanciarsi per aria per vedere chi cade in piedi, integro.

      Uno legge un manuale su un leggìo di legno poggiato su una scrivania, proprio in mezzo al mio cuore. Ogni tanto smette di studiare, mi guarda e comincia a ripetere ossessivamente le stesse frasi con un ghigno rabbioso.

      Altri ancora passeggiano sulla mia fronte, sembrano baci ma se mi distraggo diventano spilli e poi di nuovo baci.

      Due giocano al tiro alla fune con la collana che ho al collo per vedere chi potrà dormire sulle mie clavicole. Non so se sono più smemorati o stronzi ma ogni giorno tirano forte, a volte così forte che quasi soffoco finché non si ricordano che ne hanno una a testa di clavicola.

      Uno tira fuori una margherita dalla tasca, sospira, si siede sul mio muscolo pelvico, sospira di nuovo, incrocia le gambe e inizia il suo m’ama o non m’ama.

      Un altro è sulla mia testa che guarda film e ne immagina infiniti usando i miei capelli come un tappeto sul quale sdraiarsi e stare comodo.

      Sulle mie spalle altre due scrivanie ognuna per un pensiero. Uno ha una penna blu in mano e scrive poesie e storie, scrive se stesso senza pensarci troppo. L’altro scrive al computer, non mi sente perché ha la musica a palla, e le sue dita scorrono veloci sui tasti, a volte chiude gli occhi e muove il collo come se le idee provenissero dalla colonna vertebrale.

      Sui miei addominali si giocano partite di pallavolo, non hanno più di 15 anni questi pensieri. Alla fine non si capisce mai chi vince e in realtà non frega niente a nessuno. Poi si torna in classe e due di loro si nascondono in bagno per fumare, uno guarda, l’altro no.

      Molti sono ricercatori d’oro che affondano le mani nelle mie cosce e nei mie polpacci, bicipiti e tricipiti. Cercano qualche pezzo di muscolo ma i loro setacci sono sempre più vuoti e silenziosi.

      Ho pensieri sui miei palmi, tra le linee dell’amore, della vita, tra le mie dita. Si sfiorano tra loro, vestiti e no, presi da amori diversi. C’è chi ride, chi piange, chi sospira e chi si muove muto.

      Sulla mia schiena, le mie scapole diventano la panchina per il più piccolo dei miei pensieri, il più piccolo e il più vecchio. Rimane lì, assomigliandomi più di tutti. Ha i miei occhi, i miei desideri, i miei sensi di colpa, la mia speranza fatta rabbia. Vigila tutti tra un libro e l’altro. Qualche volta prende una fionda, degli orsetti haribo e dei kiwiwini che lancia a destra a sinistra, sotto e sopra. Così addormenta il pensiero nel cuore, sbilancia uno dei giocatori del tiro alla fune, sfama i ricercatori d’oro, salva un po’ di margherite, i pensieri sulla fronte diventano tutti baci, la partita di pallavolo si riempie di risate e quei due che fumano si scambiano un po’ di zucchero. Per ultimo dà da mangiare al pensiero sulla mia testa. Poi si sdraia sui libri tra le mie scapole e torna a leggere.

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, disabilità, lgbt, quarantena
    • La primavera se ne frega

      Posted at 10:25 by fedepis, on marzo 12, 2020

      Negli ultimi anni ho sempre passato molto tempo a casa, a volte non avevo scelta: magari c’era troppo freddo, pioveva a dirotto oppure avevo dolore alle gambe. A volte la scelta c’era e comunque sceglievo di rimanere dove stavo, per motivi che con la malattia avevano poco a che fare. Nell’ultimo periodo avevo la certezza che avrei avuto, finalmente, un sacco di cose da fare, bellissime cose, fuori di casa. Poi mi sono ritrovata ad essere un soggetto a rischio già prima che tutta l’Italia diventasse zona rossa/protetta. Io sapevo di esserlo ma non ci volevo neanche pensare, io non volevo essere più a rischio di qualcun altro. Volevo mantenere la tranquillità stando girata di spalle e non è qualcosa della quale andare fiera. Anzi un po’ credo anche di vergognarmene. Hanno dovuto dirmelo che sono soggetto a rischio, l’ho dovuto ascoltare pronunciato dalla mia fisioterapista e poi da chi, avendo la mia stessa malattia, aveva parlato con il mio dottore. E all’improvviso, paradossalmente all’improvviso, tutte le cose bellissime si posticipano, tutte le cose di tutti si posticipano, ho anche l’impressione di dover posticipare il mio compleanno. Tutto il tempo che chiedevamo ci è arrivato addosso, e lo so che è un tempo diverso perché non abbiamo scelta ma è l’unica possibilità e dobbiamo usarlo adesso perché poi, quando tutto questo sarà finito, vorremo vedere casa il meno possibile, e vorremo tutti gli abbracci e i baci che non sapevamo di volere e di saper dare. Vorremo sentire il rumore, il vociare e vorremo scontrarci con la vita degli altri e intanto però stamattina ho scoperto che fortunatamente la primavera se ne frega e arriva comunque

      Inviato su Senza categoria | 0 commenti
    • Bugie bianche

      Posted at 11:56 by fedepis, on febbraio 29, 2020

      Io non sono io, sono quell’altra, quella alla quale le bugie piacciono e anche le omissioni, che tanto in qualsiasi modo la giriate sono sempre bugie ma riempite di silenzio. Eh sì, sono quell’altra stronza che racconta cavolate per indorare la pillola, che si mangia le unghie e le mani alla ricerca della prossima bugia nella quale affogare e con la stessa bugia annaspare per vedere poi se sentirò dolore o senso di colpa. Il mio senso di colpa è il risultato di troppo senso di responsabilità verso gli altri, tutti gli altri, anche chi non se lo merita. Ma non posso essere responsabile senza bugie, non posso pensare che la limpidezza protegga qualcuno se in fondo non protegge neanche me.

      Io sono quell’altra, quella che cammina sulle proprie gambe e poi cade, si rialza, cade di nuovo e si rialza ma stavolta si ritrova appoggiata ad un bastone da passeggio. E vuoi che non sia io quell’altra che dice bugie? Io sono quell’altra che inciampa nelle scarpe di qualcuno, che si divincola schivando piroette imperfette, che tocca un muro non più bianco, che cade e si ritrova su una sedia a rotelle. Vuoi che non sia io quell’altra che ama le bugie?

      Inviato su Senza categoria | 0 commenti
    • Promemoria

      Posted at 20:15 by fedepis, on febbraio 15, 2020

      Spesso non ricordo gli impegni, o meglio: non ricordo quelli che prendo con me stessa, perciò inserisco sveglie e promemoria. Una oretta fa stavo per segnare un promemoria e scopro che domani 16 febbraio 2020 il mio cellulare mi avrebbe fatto sapere questo:

      Ricorda: chiedetevi ciò di cui avete bisogno

      So perché questo promemoria io l’abbia scritto al plurale ma non so cosa dovrebbe succedere domani e io non so neanche perché dovrebbe succedere qualcosa e non credo succederà nulla. Domani sarebbe stato solo domani e dubito sia una frase di mia creazione ma difficilmente credo al caso; credo fermamente nelle connessioni, nella bellezza collaterale, credo persino che senza malattia i miei rapporti umani non sarebbero stati quello che sono stati, nel bene e nel male.

      So per certo che oggi è stata una giornata idiota come molte altre in questo lungo periodo. So che la mia testa molto spesso non è un luogo comodo dove passare il tempo né per me né per gli altri che tengo al riparo. Io e i miei pensieri battagliamo ogni giorno. Non tutti ma alcuni sono proprio degli stronzi e banchettano con i loro pensieri contrari a mio discapito. Vengono e vanno via senza interessarsi del fatto che dovrei dormire, studiare, respirare, scrivere. Sanno che a volte le energie vanno centellinate, sanno che devo farlo adesso, perciò sembro una di quelle madri che cedono ai capricci di quei figli che sanno che più urlano e piangono, più ottengono. Ma in fondo credo che chiunque stia leggendo sappia cosa io voglia dire.

      So per certo che non posso ringraziare la persona che mi ha inconsapevolmente obbligato ad aprire l’app, mi prenderebbe per pazza e se fossi più strafottente lo farei. La ringrazierei perché dovrei ricordarmelo di chiedere ciò di cui ho bisogno alle persone che amo, che dovrei chiederlo a me stessa ciò di cui ho bisogno senza cercare disperatamente di essere qualcosa che alla fine dei conti non sono mai. Dovrei chiedermi la strafottenza, dovrei prendere le mie parole, le mie soddisfazioni, le mia sicurezza in me stessa, la consapevolezza di aver fatto cose giuste, a volte anche perfette, che dovrei prendermi il tempo per tutto quello che fa schifo.

      In questi giorni mi gira in testa la frase: sarò quercia! Ed è vero: io sarò quercia, anche se a volte su questo ho mentito ma lo sarò e in fondo un po’ lo sono. Forse è era questo il punto del promemoria, dire: sarò quercia, sono quercia ma posso comunque chiederti di cosa hai bisogno e tu puoi chiederlo a me. E possiamo darci quello di cui abbiamo bisogno anche se sono quercia.

      Non lo so, sta di fatto che il promemoria domani suonerà comunque.

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, disabilità, lettere, lgbt
    • Il titolo non serve

      Posted at 14:05 by fedepis, on gennaio 26, 2020

      Credo di essere diventata disabile quando lo sono diventata per l’inps. Poi lo sono diventata un po’ di più quando ho iniziato ad avere bisogno del braccio di qualcuno per mantenere l’equilibrio, un altro po’ quando ho comprato un bellissimo bastone da passeggio nero e pieno di fiori. Lo sono diventata un altro po’ quando sono state fatte modifiche alla macchina così da poter essere guidata da me e da mia sorella. La penultima tacca è stata la sedia a rotelle, l’ultima il non poter più guidare…

      Ad ogni tacca aggiunta sentivo perdersi il contatto tra me e il mondo fisico, la materia. Avete idea di quante cose le vostre mani tocchino? Su quanti pavimenti diversi poggiate i piedi? Vi ricordate l’ultima volta che avete camminato e ballato sull’erba umida? Io sì. Avete idea di quanti corpi il vostro corpo sfiora? Di quanto il rapporto fra voi e gli altri sia assolutamente fisico? Di quanto il supportare abbia a che fare con qualcosa di fisico?

      Io sì, l’ho imparato quando ho iniziato a dover chiedere di essere messa su un fianco e che il mio braccio destro venisse poggiato sul fianco della persona accanto a me per poterla abbracciare. Quando abbracciare la persona che amavo perché io volevo o lei voleva ha implicato chiedere di creare il movimento e di dimenticare l’improvvisazione. Quando le azioni da poter compiere da sola si sono ridotte drasticamente e sono rimaste le parole ed il pensiero… quando ad un certo punto ho pensato che beh dai è vero, esattamente il mio aiuto in cosa potrebbe mai consistere? Il mio amore in cosa è consistito e in cosa consiste? Il mio dolore sembra più consistente del mio amore e non è giusto perché che se ne fa qualcuno di un amore che non può esprimersi attraverso la materia? Quanto dovrei essere “pazzescah” e quanto dovrebbe essere “pazzescah” l’altra persona per superare questo gap? E soprattutto di che cazzo parliamo: io sono indubbiamente pazzescah, lo ero già prima della 104. Ma le mie parole superano la materia? Le mie parole sono materia?

      È un pensiero che ritorna spesso in questo ultimo periodo e in due momenti diversi due mie amiche mi hanno detto: ti prendi cura… Poi l’altra sera Ragazzino (un’altra mia amica che vive fuori Sicilia) mi ha chiesto perché le avessi nascosto un mio momento di malessere negandole la possibilità di prendersi cura di me visto che io mi prendo sempre cura di lei. Non ho detto niente, ho dato una spiegazione al mio atteggiamento ma non l’ho ringraziata, non ho ringraziato nessuno di loro tre e avrei dovuto perchè mi hanno detto che mi prendo cura e io non me ne sono accorta, oppure l’ho dimenticato.

      Ho pensato che sono proprio una stupida e sarò una stupida ogni volta che penserò che tutte quelle tacche mi hanno trasformata in qualcuno con più parole che altro e quindi in un qualcuno che non può amare abbastanza e a sufficienza perché difetta di materia.

      Inviato su GNE GNE GNE!, Senza categoria | 2 commenti
    • Post sull’amore

      Posted at 15:26 by fedepis, on gennaio 12, 2020

      Avevo pensato di scrivere qualcosa sull’amore. Non so perché, cioè non è San Valentino e io neanche ce l’ho l’amore, quindi non lo so. Avevo pensato che ne sarebbe uscito un post struggente se avessi avuto qualcosa da dire senza ricorrere a racconti su motocicliste ed eroine, donne che si regalano la pelle, o che vagano confuse in un parco alla ricerca del loro amore attraverso i ricordi come Pollicino torna a casa seguendo mollichine. Credevo di poter scrivere un post sull’amore senza lasciare mollichine per una Pollicina.

      Avrei anche molto da dire sull’amore così, senza girarci intorno, diretta! Ma le figure retoriche, quelle stronze… mi innamorano ogni volta che ne uso una. Forse perché in fondo non si lamentano mai, a volte si imbronciano ma stanno sempre lì a dirmi che posso dire senza dire. A dirmi che sono il mio costume di carnevale e va bene così. Mi dicono che loro tra le mie mani, sulla mia bocca ci stanno comode e che quindi anche io le faccio innamorare.

      “Salvaguardiamo il tuo pudore, per metà perso in una serie infinita di cazzate. Ti rendiamo poetica quando non lo sei. Ti regaliamo immagini e suoni. Ti facciamo diventare quello che vuoi perché per noi sei un po’ di tutto. Ti restituiamo la bellezza che credi di non avere. Ti proteggiamo e ti esponiamo. Sì facciamo anche questo quando non te ne accorgi” mi dicono

      Ah! Forse ho scritto un post sull’amore

      Inviato su Senza categoria | 1 Commento
    • Magma

      Posted at 14:00 by fedepis, on gennaio 2, 2020

      Guardate! Ma perché l’arbitro non la ferma? Si è tolta anche i guantoni per colpirla meglio. Destro sinistro sinistro destro.

      Guardati! Ma perché l’arbitro non ti ferma? Non so se sto provando molto dolore. Perché sei così incazzata e io perché lo sono così poco? Chi lo doveva dire? Stamattina mi sono alzata e andava bene, ho fatto le solite cose: quella routine rasserenante e poi sono finita su questo ring, tra queste corde, sotto di te e i tuoi pugni. Non credo di conoscerti, sei finita qui anche tu all’improvviso? Ti sanguinano anche le nocche e il tuo sudore mi gocciola sulla fronte. Che ti ho fatto? Precisamente, nei dettagli, ho tempo per ascoltare se risparmi i miei timpani. Potrei avere anche risposte. Io le vorrei delle risposte da te. Abbiamo la stessa collana. Lasciami respirare un secondo, tanto non lo vedi che non riesco ad alzare le braccia, perché non riesco a difendermi?

      Perché non ti difendi? Non lo vedi che non mi ferma neanche l’arbitro? Stamattina andava tutto bene e poi ti ho avuto sotto le mani, mi fermerei ma non so liberarmi dal tuo macigno. Ti sento sulla schiena ma non so neanche chi cazzo tu sia. O forse sì ma non i ricordo, abbiamo la stessa collana. Difenditi! Difendimi! Alza le braccia e spingimi via, oppure stringimi e fermami. Fermami con un abbraccio come si fa con i bambini. Ti sei accorta che siamo qui da sei giorni? Davanti ai miei occhi vedo immagini reali, inventate, ipotizzate e tu sei la sopravvissuta, la rediviva e poi il corpo che rotola e precipita. Ma chi sei? Chi siamo? Che ci facciamo qui? Perché nessuno ci ferma? Perchè non ti difendi? Perché io non mi fermo?

      Arbitro perché non le ferma?

      Inviato su Senza categoria, Te l'ho mai raccontato? | 0 commenti
    • Lettera al mio anno

      Posted at 22:48 by fedepis, on dicembre 29, 2019

      Ciao 2019,

      la mia amica Flo, come sai, da qualche mese, mi dà lezioni di inglese; in questi giorni di festa sono state lezioni a tema. Venerdì mi ha fatto vedere un video sul capodanno newyorkese e mi ha chiesto quali sono i miei buoni propositi per l’anno nuovo e io ho risposto: I want to be happy! Non sono brava con i buoni propositi ma tentare non nuoce. Cioè io le cose che dico che farò poi le faccio quando è il momento, ma le faccio. E comunque Fox ha detto che il 2020 per gli Arieti sarà praticamente un buon 2021 quindi mi si dovrà concedere qualche mese per spalare.

      Cosa mi lasci, anno mio? E cosa ti lascio io? Cosa mi porto dietro? Cosa avrei voluto lasciarti che invece rimarrà? Un monologo, parole che hanno la mia voce e la voce di qualcun altro. Pensieri cattivi, rabbiosi e rancorosi intervallati da dell’amore che ho rinunciato a pesare. Cosa avrei voluto che rimanesse dove stava? Lì di fronte la porta della mia cucina con quel cazzo di citofono in mano a dire qualcosa che non ricordo ma che mi ha fatto ridere un sacco, lì con quella faccia che se ci penso mi fa ridere un sacco e mi fa scrivere sempre qualcosa.

      Cosa voglio di più di quello che mi hai dato e cosa di meno? Spero in meno attese, meno rincorse, meno domande inutili e tempo perso nella perdita. Spero di credere in me abbastanza, per essere abbastanza almeno per me. Voglio più risate, voglio più parole mie, voglio creare ed essere. Spero in più baci e carezze, nell’amore che mi merito e in quello che io posso dare e che gli altri si meritano.

      Non posso dirti che sei stato un cattivo anno su tutti i fronti, ho scoperto cose nuove e belle di me ma ho la sensazione che sulla linea di demarcazione tra te e il 2020 ci sarò io che cerco di convincere un pezzo di me a seguirmi perché è troppo prezioso per rimanere indietro e io, a volte, non lascio indietro neanche chi se lo merita.

      Quindi alla fine della quasi fine: anno mio GRAZIE per quello che mi hai dato, che mi hai insegnato, per i ricordi e SCUSA per tutte le volte nelle quali non ho capito, per i tuoi giorni che ho perso, per le volte nella quali mi sarei dovuta limitare a coccolarti. Però potevamo pure provare a gestirci leggermente meglio quindi un po’ vai anche a fanculo.

      Federica

      Inviato su Senza categoria | 2 commenti
    • Caro Babbo Natale

      Posted at 12:40 by fedepis, on dicembre 19, 2019

      come stai? Lo so che è tardi per una lettera, e so che non te ne scrivo da molti anni. Mi sono decisa tardi, ho deciso tardi cosa chiederti. Ci ho pensato molto, anche se ho scoperto che a volte non penso mai abbastanza a quello a cui gli altri vogliono che io pensi. Quest’anno ho scoperto un sacco di cose, ho scoperto che a volte avere a che fare con la mia malattia è una passeggiata rispetto ad avere a che fare con gli esseri umani. Quindi volevo chiederti un sacchetto con un po’ di misantropia dentro. Lo so, lo so non ti inc… cioè arrabbiare. È una richiesta strana, e certo non mi trasformeresti mai in Ebenezer Scrooge, magari pensi che non faccia parte di me, piuttosto potrei essere il piccolo Tim. Ma tu stai lì al Polo Nord con tua moglie, gli elfi e le renne, a bere cioccolata calda (magari corretta 😏) e noi siamo qui ad avere a che fare gli uni con gli altri, a complicarci la vita così tanto che poi non ne usciamo neanche con la cioccolata calda corretta. Basterebbe un giocattolo di legno, una volta ogni tanto, basterebbe fare finta fosse Natale una volta al mese. Basterebbe non dimenticare che bambini lo siamo stati, e lo siamo ancora tutti, anche se siamo diventati adulti, anche se adesso la paura del buio non si risolve più lasciando semplicemente la porta della camera socchiusa, però magari aiuta. Aiutano le bucce d’arancia sulla stufa, i biscotti allo zenzero, i cartoni animati alla tv, un cappello simile al tuo sulla testa. Aiuta il villaggio di Natale in salotto, aiuta l’amore. Aiuta trovare qualcuno che ci culla anche quando non siamo stati tanto bravi, anche quando abbiamo chiesto un po’ di misantropia come soluzione o consolazione.

      Quindi caro Babbo Natale se con questa richiesta finisco nella lista dei cattivi, mi accontenterò del carbone ma nel caso tu semplicemente non voglia portarmi la misantropia, vedrò di scoprire cosa posso risolvere con una bottiglia liquorosa a tua scelta. Alla cioccolata calda posso pensarci da sola.

      Un bacio

      Federica 🙂

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, Babbo Natale, Natale
    • L’arte di essere nessuno

      Posted at 21:55 by fedepis, on dicembre 8, 2019

      “Lo vedi, se guardi ovunque, che hai lasciato quel dolore scavarti dentro. La sua anima sembrava divorarti dall’interno, così non saresti né esplosa né implosa, così saresti finita e basta. Il tuo corpo sarebbe stato salvaguardato, l’evidenza protetta: maschera in volto, schiena dritta. Non te ne sei neanche accorta, e le hai amate così tanto, quelle labbra, così tanto tutta lei, così tanto, così nulla, così niente. Morta come un nessuno davanti tutto quello che era stata. Tu, tutto quello che era stata. Tu, tutto tranne la motivazione per rimanere, tutto tranne il resto. Piangi e ti viene da vomitare e da urlare, è ritornata la sensazione di quel bacio e lei che forse quel bacio te l’ha restituito poco prima di morire, lei che sembrava aver capito tutto e continuava e non smetteva, lei non smetteva mai.
      Adesso ti sei fermata e ti ricordi che sei brutta quando piangi, mangi lacrime e la saliva cola. Hai smesso di ingoiare, di respirare, di parlare. Abbassi il sedile e cominci a ridere, come una pazza, lacrime, saliva e risate, piangi e ridi, ridi, Sophia, ma che avrai da ridere?” L’arte di essere nessuno

      Inviato su Senza categoria | 0 commenti
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    • L’arte di essere nessuno

      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

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