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Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
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    • La Belva

      Posted at 18:35 by fedepis, on novembre 29, 2020

      La mattina devo aspettare mia madre per alzarmi dal letto. Io sono mattiniera, mia madre no, e in fondo ieri era domenica. Ho quindi pensato: beh guardo un film, ok provo a guardare LA BELVA (immaginate che io lo stia dicendo con voce profonda e grossa)

      A volte i super eroi hanno un problema con il resto che li circonda. I super eroi a volte sembrano anti eroi perché eroi lo sono stati fin troppo, per questo ci piacciono, credo, perché sono (passatemi il termine) fottutamente umani. LA BELVA, film di Ludovico Di Martino uscito il 26 novembre su Netflix fa proprio questo: ci presenta un super eroe che sin dalle prime scene è solo uomo sudato, con qualche cicatrice, sotto psicofarmaci ma che promette bene. LA BELVA (voce grossa e profonda) si chiama Leonida Riva ed è interpretato da Fabrizio Gifuni. Non si chiama Mario Rossi, si chiama LEONIDA e il mio pensiero va subito a lui: Leonida I, re di Sparta che sapeva di essere un re non tanto per una questione di sangue ma perché consapevole di essere più capace, più preparato ed eroico di tutti gli altri. Il nostro Leonida all’inizio non lo sa, di essere più forte di altri, è un ex capitano delle forze speciali, sa solo di essere più distrutto di altri, troppo distrutto per essere padre o marito, forse neanche troppo certo di essere ancora un essere umano.

      Leonida ha due figli: un maschio adolescente molto arrabbiato, un po’ perché anche l’adolescenza a volte è una belva, un po’ perché un adolescente risulta funzionale alla storia facendogli commettere una grande minchiata e un po’ perché pensa “eh papà io ti vedo ma non ci sei”. L’altra figlia di 6 anni invece adora Leonida, perché papà è papà, soprattutto a 6 anni e un po’ perché pensa: “eh papà io ti vedo anche se non ci sei”.

      Teresa, la figlia, viene rapita e Leonida ritorna in guerra, ma è una guerra su due fronti: contro chi ha rapito la figlia e contro i propri traumi. Quindi fa il super eroe, combatte, si ricuce da solo le ferite da solo mentre noi comuni mortali a stento riusciamo a toglierci una spina dal dito con un ago accuratamente disinfettato. Leonida corre, si abbrancica alle auto e qui mi complimenterei per gli effetti sonori. Voi direte perché? Che c’entra? C’entra perché la musica extra-diegetica a volte mi confonde durante le scene di azione, invece in LA BELVA si può sentire solo l’aria sferzata dal pugno o dal calcio, tutto in maniera molto chiara e fortemente onomatopeica. Con lievi rallentamenti dell’azione che mi hanno fatto un po’ sentire in Matrix.

      Una cosa che ho molto apprezzato inaspettatamente è stata la gestione del rapporto padre e figlio, che da cornice diventa quadro. Il figlio capirà il padre perché si ritroverà inondato da quegli stessi sentimenti che hanno portato Leonida ad estraniarsi dal mondo (se deciderete di vederlo scoprirete il perché)

      Gli action movie non mi fanno particolarmente impazzire, però dopo la battuta finale di Leonida ho pensato: “voglio il sequel”

      Inviato su Recensioni a caso | 0 commenti | Tag film, la belva, recensioni
    • Derry Girls

      Posted at 20:23 by fedepis, on gennaio 6, 2019

      Io e il binge-watching siamo amici fraterni, passiamo molto tempo insieme un po’ per volontà e un po’ per necessità. Devo quindi sfogarmi in qualche modo. In cerca di una nuova serie tv da guardare che potesse farmi mettere da parte il sangue e i salti temporali, che fanno crescere i bambini ma non invecchiare gli adulti, di Vikings, ho deciso di iniziare Derry Girls. Sitcom del 2018 orinale Netflix, scritta da Lina McGee di Derry Girls abbiamo solo la prima stagione composta da 6 puntate della durata di circa 20 minuti ciascuna. La serie è in lingua originale e credo sia giusto così, rende decisamente meglio e inoltre permette di cogliere meglio il contrasto tra irlandesi e inglesi, capirete perchè. Derry Girls mi tentava già da qualche giorno e come Oscar Wilde raccomandava: ho ceduto!

      «Il mio nome è Erin Quinn, ho 16 anni e vengo da un posto chiamato Derry. O Londonderry, dipende dalle vostre convinzioni. Un angolino problematico del nordovest dell’Irlanda.» 

      Sono queste le prime battute della prima puntata e che Derry sia una cittadina problematica vi sarà chiaro da subito. Sì perché le disavventure di Erin Quinn e del resto della sua comitiva si svolgono nei primi anni novanta del XX secolo – azzarderei 1993 – negli ultimi anni del conflitto nordirlandese cominciato negli sessanta, dopo le proteste della oppressa minoranza cattolica. Tra i tanti episodi di sangue degli anni sessanta il più feroce fu forse la Battaglia di Bogside, un distretto di Londonderry, nel 1969: da questa data le truppe britanniche si stanziarono nell’Ulster per controllare il territorio. (per chi fosse interessato qui potete trovare informazioni dettagliate sui fatti: http://www.instoria.it/home/storia_questione_irlandese.htm).

      La sitcom viaggia su due piani diversi: la storia e l’adolescenza di Erin, Orla, Clare, Michelle e James. Per loro è normale camminare in mezzo a soldati, svegliarsi la mattina con in sottofondo il telegiornale che annuncia bombe inesplose e esplose. Così normale che lo diventa anche per noi, e le loro disavventure sono in grado di distrarci. L’unica cosa che sembra interessare loro è quello che interessa alla maggioranza degli adolescenti: sopravvivere all’adolescenza.

      Loro non sono quelli fighi ma secondo me non sono neanche gli sfigati. Frequentano una scuola cattolica femminile, sì anche James che viene preso in giro perché inglese soprattutto dalla cugina Michelle, la quale usa consapevolmente “fuck” come intercalare. Erin invece è troppo razionale, e le sue espressioni facciali valgono tanto quanto le sue parole. Orla, la cugina di Erin, è perennemente in un mondo tutto suo. Clare invece è l’intellettuale dedita, più o meno, al volontariato. Non bisogna sottovalutare anche la famiglia di Erin, ma credo che uno dei migliori personaggi sia Sister Michael, la apatica direttrice della scuola che vive i suoi doveri e la sua fede con la stessa euforia con la quale io mi alzo la mattina in piano inverno.

      Quindi umilmente ve la consiglio, vedere per credere!

      Inviato su Recensioni a caso | 0 commenti | Tag Derry Girls, Lina McGee, Netflix, serie tv
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    • L’arte di essere nessuno

      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

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