CorpInclusi

Scrittrice su due ruote, quattro quando non impenno
CorpInclusi
  • Informazioni
  • Contatti
  • Categoria: LETTERE A CORPI INCLUSI

    • 2p = 4l

      Posted at 12:31 by fedepis, on agosto 8, 2019

      Balliamo con poche pretese dentro un quadrato. Muovendoci sul posto con la mia testa sulla tua piccola giovane spalla destra e la tua testa sulla mia indecente giovane spalla destra, senza dirci niente di nuovo o di meglio che non sia il silenzio.

      Balliamo tra quattro angoli uguali mentre fuori terremoti, eruzioni, annegamenti e guerre, fanno crepare il nostro punto di appoggio e parliamo per non perdere il contatto, il controllo, gli occhi, per lasciar fuori la paura.

      Balliamo e chiami il futuro al mio orecchio e io sussurro sì al tuo orecchio, sul tuo collo, sul tuo petto. E ripetiamo sì sui nostri corpi, dentro quattro angoli uguali, fino a poterne calcolare il perimetro e l’area.

      Balliamo e i lati del quadrato diventano fottute lastre di cristallo che si romperanno frantumate dalle mie e tue urla. E ci feriranno lasciandoci cicatrici luccicanti al sapore di zenzero e limone.

      Balliamo, i piedi doloranti, con le braccia lungo il busto e le mani intrecciate alla fine di tutto, con le mie labbra sulle tue e le tue sulle mie per aiutarci tra un respiro e l’altro dentro un quadrato diventato rombo al ritmo di cadute, rivincite e armoniche

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, lettere, lgbt, queer, scrittori emergenti
    • Lettera alla mia pazienza

      Posted at 11:37 by fedepis, on marzo 19, 2019

      Non ricordo quando ci siamo conosciute, in quale anfratto del mio passato. Sei l’unica parte di me con la quale non ho mai litigato, della quale mi sono sempre vantata. Ti porto sul petto come una medaglia al valore, come cicatrice. Il cielo mi guarda, mi insulta perché io distolgo lo sguardo per trovarti nella passeggiata che non farò, nel mar mediterraneo che vedo dalle vetrate della cucina e che in 30 anni non è mai stato brutto. Devo sempre trovarti da qualche parte, più di una volta al giorno, dentro un bicchiere di plastica riempito il giusto per poterlo reggere. Devo trovarti tra le mattonelle rosa del bagno, fredde sotto la mia guancia. Devo trovarti tra il vittimismo dilagante e il mio di vittimismo che vorrebbe urlare per riprendersi la sua rivincita. Nelle mie dita che battono sulla tastiera troppo lentamente e ancora non mi abituo. Devo trovarti nella paura perenne, nel dubbio, nei miei slanci di coraggio che si spengono, nei sensi di colpa, nelle parole che muoiono in gola soffocate dalla rabbia che devo monitorare e gestire perché sono disabile e non posso arrabbiarmi come e quando voglio, perché da sola muoio di fame e di sete, me la faccio addosso. Devo trovarti nella porta che non sbatterò, nelle scale che non scenderò di corsa per andarmi a sfogare.

      Tu non sei un concetto astratto, sei dea che si fa corpo, che esiste fin quando io ti permetterò di farlo. E come in tutti i rapporti divino-umano ci alimentiamo a vicenda. Mi usi come fossi la tua puttana, mi consumi come fossi quel golfino che dopo anni ti sta ancora a pennello. Devo credere in te anche quando non sembri nei paraggi. Ci rincorriamo senza rancore perché non ho scelta, perché tu fuggi, egli fugge, voi fuggite, essi fuggono ma io, noi, non fuggiamo mai dall’odio che a volte ho la sensazione di provare verso tutto quello che un errore genetico mi ha imposto. Probabilmente tu non sei infinita per chi può permettersi di non trovare da qualche parte ancora un po’ di te.

      Inviato su GNE GNE GNE!, LETTERE A CORPI INCLUSI | 0 commenti | Tag disabilità, lettere
    • Lettera di una dissolvenza

      Posted at 20:30 by fedepis, on febbraio 24, 2019

      Guarda come sono diventata, guarda come divento invisibile dietro la porta chiusa della nostra camera da letto. Divento insignificante seduta sul pavimento del corridoio, stupida mentre continuo a bussare ma non senti battiti. Non metti più lo zucchero nel caffè, neanche un pizzico. Hai ancora il mio sapore sulla punta della lingua? Oppure ingurgiti tutti quei caffè amari per cancellare anche il ricordo? Il mio modo goffo di chiederti l’amore e di restituirtelo.

      A nulla è servito lasciare il mio cuore sul tuo comodino, sotto una lampada che non accendi più. Non senti la mia voce che ti implora di cercarmi da qualche parte. Non senti più i miei capelli che ti solleticano la schiena. Il mio respiro che ti piace tanto. Quel modo drastico di chiudere ogni discussione per scrollarci un po’ di rabbia da dosso. Vedi il mio viso riflesso sulla porta finestra del nostro balcone? L’ho riempito di girasoli adesso affogati nella pioggia. Mi vedi sotto la pioggia accanto ai girasoli? Il mio sguardo ti segue come loro seguono il sole. Credi non ci sia più nulla che riconosceresti in me?

      Mi sciolgo dentro i cassetti pieni dei tuoi bozzetti abortiti della vita che mi hai insegnato a volere. Ho lasciato che tu facessi tutto, che mi trasformassi nel tuo amore destinato ed eterno, e ora mi cancelli come se io fossi un errore di distrazione. Lo spigolo sul quale hai sbattuto un fianco. Informami almeno del momento esatto dell’inizio della fine, quale parte di me è sparita per prima? Potrei tornare indietro, ripercorrere i nostri passi falsi.

      Disegnami sopra il muro del salotto, intaglia il mio profilo sulla porta d’entrata, suonami ad un piano, tirami fuori da un origami, ridammi il nome, il mio, così rinasco dalla tua bocca perché è lì che sono sparita. Rinomina le parti del mio corpo che vuole il tuo, ricostruisci te e me. Fallo adesso, pronunciami prima che tu finisca di leggere questa lettera. Ti lascio il tempo di ricordare il ti amo inaspettato e l’imbarazzo del primo bacio. Ti lascio il tempo di ripetere l’incontro di due esseri umani fatti a pezzi da fantasmi mai morti.

      (Photo by Kunj Parekh on Unsplash)

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI | 0 commenti | Tag amore, lettere
    • Lettera ad un corpo

      Posted at 17:05 by fedepis, on febbraio 17, 2019

      IMG_2763Le mie mani vanno a rallentatore mentre ti scrivo e così mi sembra che anche tu sia in slow motion nella mia mente. I tuoi sorrisi me li godo meglio e i tuoi occhi che guardano dove non guardo io, hanno quasi sapore. Nella mia mente parli lentamente, riesco a sentire il tuo accento confuso, solo tuo. Le tue parole sono un coltello che trapassa ogni strato del mio corpo e del mio cervello, così piano che sembra eterno un attimo prima che finisca di penetrare. Le mie mani vanno ancora a rallentatore, ti scrivo della mia immagine cambiata e di me che allo specchio ho dovuto riconoscermi nuovamente. Non c’è più nulla di quello che c’era prima di te, non c’è più l’orgoglio del passo o di quell’accento di sensualità che avrei potuto allenare. Non ci sono i movimenti che conoscevo a memoria, adesso niente è “come andare in bicicletta”, non c’è la possibilità di andare a passo con il tempo, non c’è la rabbia che il mio corpo vuole sfogare fuori da quattro mura, non c’è l’andare dove non mi vede nessuno. Tu mi guardi, mi intravedi, e io vorrei non essere vista se non come dico io. Non ho più gambe d’ambra ma polpacci rossi per una cattiva circolazione che trascina i miei sentimenti ad affogare in del sangue che non sintetizza quel preciso enzima.

      Per un po’ ho creduto che anche i miei sensi si fossero ammalati. Ho creduto che non avrei sentito nessun pezzo di corpo altrui. Ho creduto che non sarebbe stato possibile per me neanche percepire gli altri corpi. Forse accadeva veramente. A niente valeva impegnarmi nel sentirli, nel toccarli, nel guardarli, oltrepassarli ma in fondo per arrivare dove? Ho capito sai che la mia vera paura era non sentire più il mio di corpo, perderlo in movimenti incerti e spenti. Temevo di non sentire più la mia pelle ricoperta di acqua, la pelle d’oca, il dolore, i baci e i morsi. Come se perdere i movimenti significasse perdere i sensi.

      E così, ho sorvolato il tuo corpo, ho aspettato il tuo permesso per scivolarci sopra, a modo mio, per potermi ricordare delle mie braccia e delle mie gambe, del mio addome, del mio petto, della mia schiena, dell’incavo del collo. Scivolarti addosso è l’unico modo per capire che esisto ancora. Toccarti per non soffocare, desiderarti per perdermi, perdermi nel tuo corpo per ritrovare il mio.

      Le mie mani mentre ti scrivo vanno a rallentatore, riesci ad essere la mia gioia e il mio dolore in slow motion, in fondo quello che è sparito non può essere ricreato ma solo sostituito.

      Inviato su LETTERE A CORPI INCLUSI, Senza categoria | 0 commenti | Tag amore, disabilità, disability
    Articoli più recenti →
    • Ricerca

    • Ritrovarsi allo specchio e fare pace
      È la più grande forma d’arte
      Come aver fiducia delle persone adulte
      Ora che ne sono parte

      “Zibba e Nicolò Fabi – Farsi Male”

    • Categorie

      • GNE GNE GNE! (12)
      • LETTERE A CORPI INCLUSI (14)
      • Recensioni a caso (2)
      • Senza categoria (41)
      • Te l'ho mai raccontato? (8)
    • L’arte di essere nessuno

      La maggior parte delle volte in cui un bicchiere di vetro ricolmo di acqua cade per terra, la colpa è della distrazione. Tornando indietro, in fondo, avremmo potuto evitarlo. Se non l’avessimo posizionato così vicino al bordo del tavolo, oppure se l’avessimo spostato in tempo, prima che il nostro gomito lo colpisse, non sarebbe mai caduto e noi non avremmo rischiato di ferirci camminando su dei pezzi di vetro a piedi scalzi. Sophia lo guarda cadere, il bicchiere. Sente il tonfo, lo vede infrangersi sul pavimento e, nello stesso istante, lei fa la medesima fine.
      Per tutto il romanzo, con il suo strano modo di camminare, Sophia vede esplicarsi al di fuori di sé la malattia genetica che porta dentro. Tutto è una perdita di equilibrio, in tutto c’è odore di arance rosse e succose che scivolano via dalle mani di un giocoliere e si infrangono sui pezzi di vetro. Ma chi è il giocoliere? È davvero chi crede Sophia?
      Attraverso flussi di pensiero, flashback, cambi di persona, decostruzioni e ricostruzioni, Sophia si rende conto che nulla era come credeva, che la ricerca di qualcuno implica sempre la ricerca di se stessi e che, forse, è proprio vero che si comincia dalla fine.
      – RobinEdizioni

Blog su WordPress.com.

Annulla